L’accesso ai servizi sanitari da parte dei migranti, soprattutto delle donne, è fin dall’inizio il fronte primario di impegno per Médecins du Monde a Roma. Un’urgenza che conosce bene Yodit Estifanos, 32 anni, project manager di MdM proprio nella Capitale. Al lavoro per l’organizzazione da maggio 2016, Yodit si dedicava inizialmente a un progetto pensato per gli insediamenti informali e le occupazioni. Ora, da un anno, segue inoltre le attività realizzate dall’organizzazione in collaborazione con alcune realtà di donne e per le donne presenti nel territorio capitolino: la scuola di italiano per straniere a Torpignattara e quella mista nel quartiere Ostiense, entrambe promosse da Asinitas onlus; la casa rifugio e lo Spazio Donna a San Basilio, gestite dalla cooperativa sociale BeFree. Fino allo scoppio dell’epidemia da Covid-19, contro la quale MdM si è schierata fin da subito in prima linea per la gestione dell’emergenza.
Selam Palace, un "pentolone di storie"
A Roma, MdM contribuisce alla gestione dell’occupazione Selam Palace, in zona Romanina, dal 2018. Un luogo molto complesso, quello del palazzo, “ricco di storie e problemi”. Tanto che “l’impatto, quando siamo arrivati la prima volta, non è stato dei migliori: 500 persone provenienti dal Corno d’Africa - in particolare da Eritrea, Etiopia, Somalia e, in parte, Sudan – che erano in grande difficoltà, anche se cercavano di nasconderlo”.
Il Selam Palace è occupato da una quindicina di anni, ma “le istituzioni se ne sono ricordate solo pochi mesi fa, quando nell’edificio è scattato l’allarme Covid-19”. Allo scoppio dell’emergenza, MdM è rimasta al suo posto. Attraverso la presenza di Yodit, ma anche del medico Rita Carravetta e di tutti gli altri professionisti che, nel palazzo, supportano le persone con problemi di salute mentale e/o di dipendenza, così come le donne in gravidanza, accompagnandole ai servizi sanitari del territorio. “Io, in particolare, gestisco le relazioni con le comunità presenti e coordino lo staff di MdM sul campo”, racconta la project manager con un sorriso, spiegando che attualmente si reca nell’edificio due pomeriggi a settimana, ma nel periodo peggiore vi dedicava anche giornate intere.
Ora la situazione si è abbastanza stabilizzata, ma il Selam Palace rimane comunque “un pentolone di problemi sia sanitari che legali”. Tutti i suoi abitanti sono arrivati attraverso il Mediterraneo anni fa; molti addirittura tra il 2007 e il 2008. Circa l’80% di loro è regolare, avendo ottenuto asilo politico o protezione sussidiaria, ma a molti non è mai stata garantita l’accoglienza cui avrebbero avuto diritto, mentre altri - pur essendo lavoratori - non hanno comunque mai lasciato questa situazione “incancrenita, dove si sentono in qualche modo protetti”. Tutti sono approdati in Italia dopo un viaggio lungo e faticoso, pieni di speranza; nessuno aveva l’obiettivo di rimanere nel Paese. Spesso hanno provato ad andare altrove in Europa, ma sono stati respinti. Insomma, per Yodit, il Selam Palace è un vero e proprio simbolo del “fallimento dell’accoglienza”.
Fortunatamente però, Roma non è solo la città italiana col più alto numero di occupazioni. La Capitale è infatti anche “molto ricca di associazioni di donne per le donne”. Come BeFree, per cui MdM organizza cicli di formazione dedicati alla salute sessuale e riproduttiva. Incontri destinati a migranti molto giovani, da pochi anni in Italia, sopravvissute alla violenza o al traffico di esseri umani. Oppure come Asinitas che, con la sua scuola di italiano, si rivolge a mamme di diverse origini - in particolar modo bengalesi e arabofone - spesso in gravidanza, tutte sotto i 40 anni. Donne che “si sono trovate in difficoltà in fase di parto, soprattutto per quanto riguarda il dialogo coi medici”, e per questo hanno chiesto a MdM “supporto su tematiche legate alla salute, e in particolare quella sessuale riproduttiva”. Per l’organizzazione, si prendono cura di loro Yodit e un medico, un’ostetrica e una psicologa, attraverso cicli di attività sulla genitorialità e sull’educazione sanitaria. “Una volta diventate mamme, in pochi continuano ad occuparsi di queste donne”, spiega la project manager. “Per questo, durante i nostri incontri, parliamo non solo di loro in quanto madri, ma anche di quand’erano figlie, con sogni e aspettative. Insomma, ci occupiamo di loro in quanto donne”.
Intervista a cura di Elisa Bertoli