Cinque anni. Questo il periodo di operatività del Memorandum Italia-Libia, l’accordo con cui i Paesi sulle due sponde del Mediterraneo si impegnano ufficialmente in “processi di cooperazione, contrasto all'immigrazione illegale e rafforzamento della sicurezza delle frontiere”. Quanto previsto contrasta tuttavia con la realtà. Le ricadute sulla vita di uomini, donne, bambine e bambini migranti sono infatti tra le conseguenze più drammatiche di un patto che è evidentemente illegittimo. Dal 2017 all’11 ottobre 2022 quasi centomila (1) bambini, donne e uomini sono stati intercettati in mare dai guardia coste libici, e riportate in un Paese che non può essere considerato sicuro. Essere una persona migrante in Libia
significa infatti essere costantemente a rischio: di essere arrestato, detenuto, abusato, picchiato, sfruttato. Significa vedersi spogliati di ogni diritto e non ricevere alcuna tutela.
Il Memorandum non si limita a prospettare cooperazione e progettualità generiche. L’accordo prevede infatti il sostegno alla cosiddetta Guardia Costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento: continuare a supportarla significa non solo contribuire direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione - ufficialmente definiti di accoglienza - dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, vengono abusate
e uccise.
Tutto ciò si inserisce in un quadro politico particolarmente instabile, in cui le violenze contro la popolazione crescono di anno in anno, così come gli sfollati, e dove innumerevoli testimonianze e rapporti di organismi internazionali confermano la commistione delle autorità libiche con le milizie, e il loro coinvolgimento nel sistema di detenzione arbitraria, sfruttamento, abuso e tortura sistemica di migranti e richiedenti asilo. In questo scenario è sempre più difficile tracciare i fondi e i mezzi inviati
grazie al Memorandum, cosa che aumenta il rischio che glistessi vengano utilizzati nel conflitto interno.
E’ inoltre pressoché impossibile fornire una protezione significativa alle persone vulnerabili. Le opzioni sicure e legali per lasciare il Paese sono limitate sia nell’accesso sia nei numeri, tanto che sono molte le persone che decidono di intraprendere un viaggio di ritorno via terra - in particolare lavoratori stagionali provenienti dai paesi vicini - correndo rischi simili a quelli già affrontati per raggiungere la Libia. Molti altri invece provano ad attraversare il Mediterraneo pagando somme messe da parte con lavori svolti spesso in condizioni disumane, e affrontando viaggi pericolosi, in cui la probabilità di annegare è alta quanto quella di essere intercettati e respinti dai guardia coste libici.
Nonostante tutto questo, l'Italia e l’Unione Europea continuano a impiegare in Libia sempre più risorse pubbliche e a considerare la Libia un Paese con cui poter stringere accordi, all’interno di un complesso sistema basato sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere, che delega ai Paesi di origine e transito la gestione dei flussi migratori, con il sostegno economico e la collaborazione dell’Unione Europea e
degli Stati membri. Dal 2017 i guardia coste libici hanno ricevuto oltre 100 milioni in formazione e equipaggiamenti (57,2 milioni dal Fondo fiduciario per l’Africa e 45 milioni solo attraverso la missione militare italiana dedicata). Soldi pubblici e risorse destinate alla cooperazione e allo sviluppo, impiegate invece per il rafforzamento delle frontiere, senza alcuna salvaguardia dei diritti umani, né alcun meccanismo di monitoraggio e revisione richiesto dalle norme finanziarie dell’UE.
Il Memorandum Italia – Libia non sta ponendo un argine alle violazioni dei diritti delle persone migranti, al contrario crea proprio le condizioni per il loro proseguimento, agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura perpetrate in maniera sistematica e tali da costituire crimini contro l’umanità, così come definito dalla Missione d'inchiesta indipendente delle Nazioni Unite. Nonostante il Memorandum preveda all’art. 2 il “sostegno alle organizzazioni internazionali presenti e che operano in Libia a perseguire gli sforzi mirati anche al rientro dei migranti nei paesi di origine, compreso il rientro volontario”, l’effettiva capacità di queste ultime di tutelare le persone migranti e richiedenti asilo in tale situazione è estremamente limitata e dipendente dalle scelte delle autorità libiche.
Ciò dimostra, insieme alla situazione di insicurezza e instabilità del paese nordafricano e alle innumerevoli testimonianze degli abusi da parte di cittadini stranieri in Libia, la completa e totale irriformabilità del sistema Memorandum ed in generale di blocco delle partenze dalla Libia. Sussiste
infatti, come dimostrato, un’impossibilità strutturale di apportare qualsiasi forma di miglioramento delle condizioni di vita delle persone migranti in Libia, a cui si aggiunge un inadeguato accesso dei richiedenti asilo e rifugiati alla protezione internazionale.
Per tutte queste ragioni le persone migranti presenti in Libia e quelle che, in considerazione dei traumi vissuti, possono essere definite superstiti chiedono che sia loro riconosciuta dignità umana oltre che un
pieno protagonismo politico e, insieme a tutti coloro i quali si richiamano alla cultura giuridica europea, sollecitano l’Italia e l’Europa a riconoscere le proprie responsabilità e a non rinnovare gli accordi con la Libia.
(1) Circa 99630 persone, nostra elaborazione di dati UNHCR/OCHA (https://reliefweb.int/)
A Buon Diritto, ACAT Italia, ACLI, ActionAid, Agenzia Habeshia, Alarm Phone, Amnesty International Italia, AOI, ARCI, ASGI, Centro Astalli, CGIL, CIES, CINI, CNCA, Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, Comunità Papa Giovanni XXIII, CoNNGI, FCEI, Focus Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Emergency, EuroMed Rights, Europasilo, Intersos, Mani Rosse Antirazziste, Medici del Mondo Italia, Mediterranea, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Open
Arms, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, ResQ – People Saving People, Save the Children, Sea Watch, Senza Confine, SIMM, UIL, UNIRE